Finanza etica e occupabilità
Intervista a Fabio Salviato
Il lavoro, l’imprenditorialità, la sostenibilità, la formazione e la finanza etica. Il presente e il futuro della nostra economia, con problemi atavici e soluzioni possibili ed innovative. Abbiamo intervistato su tutti questi temi Fabio Salviato, fondatore di Banca Etica ed oggi Presidente della Federazione internazionale che riunisce tutte le Banche Etiche e Alternative su un piano europeo.
Chiariamo innanzitutto i concetti di base: cosa sono e cosa rappresentano le imprese socialmente responsabili?
Imprese socialmente responsabili o sostenibili sono quelle realtà aziendali che rispettano l’ambiente e determinate regole, mettono in primo piano i diritti dei lavoratori e sono inserite in settori considerati innovativi. Se la finanza etica sta imponendosi anche in Europa, infatti, è perché ha saputo tracciare dei settori di innovazione.
Di quali settori parliamo?
Dall’agricoltura biologica al settore energetico, passando per le energie rinnovabili, la bioedilizia, la bioarchitettura. Non parliamo quindi solo di cooperazione sociale, ma includiamo il mondo della cooperazione in generale e quindi, non solo il servizio ma anche l’assistenza: il social housing per esempio. Tutte queste realtà rappresentano delle reti sociali che riescono a fare impresa in maniera sostenibile e sostanzialmente danno occupazione e alimentano, o addirittura creano la nuova economia reale.
“Di base, non si può uscire dalla crisi immaginando di recuperare qualche ricetta vecchia, utilizzata nel passato. Bisogna trovarne di nuove e le intuizioni della finanza etica e del terzo settore rappresentano una serie di indicatori importanti e positivi che in questo momento sono sotto l’osservazione attenta anche dell’economia tradizionale. Noi ad esempio abbiamo catalogato un migliaio di grandi imprese quotate in borsa che definiamo socialmente responsabili”.
Come vede il mondo dei giovani, oggi. La loro situazione precaria, la voglia di lavorare e spesso l’impossibilità di farlo. Quali strade suggerisce di percorrere?
In Italia la fascia di giovani che va dai 20 ai 30 anni hanno voglia di intraprendere nuovi lavori, di creare innovazione, ma dovrebbero essere adeguatamente accompagnati.
Perché il condizionale?
Il condizionale è d’obbligo, perché io dall’osservatore europeo vedo che in ogni Stato c’è un servizio di accompagnamento (pubblico o privato) che funziona davvero. Giovani e meno giovani in possesso di una buona idea, nel resto d’Europa, hanno a disposizione sportelli e uffici in grado di accoglierli e di aiutarli nello sviluppo dell’idea stessa.
La situazione in Italia, invece com’è?
L’Italia è la patria di queste intuizioni innovative, e non parliamo solo di settori tradizionali quali potrebbero essere il turismo responsabile o l’agricoltura. Per quel che riguarda l’agricoltura, infatti, c’è da dire che dopo anni di crisi, c’è un tasso di crescita attuale del 20-30% mentre, sono tre milioni e mezzo i terreni non coltivati. Se si riuscisse a formare adeguatamente i giovani e ad accompagnarli nel creare piccole imprese, il tasso crescerebbe e non di poco.
La comunità Europea però sta mettendo a disposizione dei fondi dedicati…
La Comunità Europea sta facendo la sua parte, però i giovani imprenditori italiani, spesso sono spaesati, non sanno a chi rivolgersi, da chi farsi aiutare. Se ci fosse un intervento ben specifico, se i centri territoriali di orientamento funzionassero, ci sarebbe la vera innovazione.
“Possiamo dire in maniera chiara che il lavoro, in Italia, soprattutto in determinati settori, c’è. Addirittura la Comunità Europea ha studiato i famosi bacini occupazionali del paese, li ha identificati e indicati, sta a noi però farli sviluppare e crescere”.
Come?
Attraverso una rete trasversale di quotatori di interessi: il Governo, gli Enti Locali, le Camere di Commercio. Una rete cioè orientata a trovare soluzioni mirate all’occupazione, che è il principale problema, attualmente, in Italia, lo dicono anche i dati.
Cosa dicono nello specifico?
In una ricerca sull’occupazione, risulta che in Italia ci sono circa 20 milioni di occupati e che, per i prossimi 10 anni, gli occupati resteranno 20 milioni, quindi non ci sarà un incremento. La notizia però più sconvolgente è che nei prossimi 10 anni, il 70 per cento degli attuali occupati cambierà tipologia di lavoro. Il che significa che siamo di fronte a una rivoluzione occupazionale che va in un’ottica di innovazione, dove e intuizioni della finanza etica rappresentano delle linee guida importanti.
Banca etica ha avviato un fondo di garanzia per le start up. Cosa pensa in merito a questa nuova realtà? Le start up rappresentano davvero la panacea di tutti mali?
Sulle start up le posso di dire che siamo in una fase di cambiamento. Le piattaforme di crowdfunding potrebbero diventare la borsa del mercato in Italia. Siamo di fronte ad un’autentica rivoluzione. Lei pensi che in Europa lo scorso anno si sono raccolti circa due miliardi e mezzo di capitale sociale per le start up e quest’anno si pensa di arrivare a 5 miliardi.
E in Italia?
In Italia 12 milioni e si potrebbe arrivare a 24 milioni. Siamo il fanalino di coda ma, grazie ad una corretta comunicazione, potremmo raggiungere anche noi dei buoni risultati. La Comunità Europea sta concedendo molto con fondi dedicati al social housimng, all’agricoltura biologica, al fondo per l’energia e per il diritto alla terra. Anche gli investitori sono più interessati a indirizzare l’investimento attraverso un canale dedicato.
.“Il ruolo centrale che giocava una banca fino a 10 anni fa oggi non c’è più, perché l’importante è trovare una risposta rispetto all’economia reale che ha bisogno di investimenti, di crediti, e quindi se ci sono strumenti finanziari alternativi che hanno questa capacità è bene che si sviluppino”
Spesso però i giovani che intendono intraprendere un percorso imprenditoriale non sono abbastanza alfabetizzati rispetto agli strumenti finanziari da usare. Secondo lei com’è possibile ovviare questo problema?
Lei ha centrato un punto importante. Non è facile rispondere. Servirebbe innanzitutto un maggior coordinamento dei vari soggetti portatori di interesse affinché possano rispondere alle problematiche delle imprese in generale e delle piccole imprese in particolare. Siamo la nazione in Europa che ha il maggior numero di piccole imprese in assoluto, più di un milione. Questo, ripeto, è un valore che nessun paese della comunità europea possiede eppure, rispetto al microcredito, su cento piccoli imprenditori che chiedono un piccolo finanziamento, mentre la media europea è 10, la media italiana è 0,34. Questo vuol dire che non esiste, rispetto alla domanda, una risposta organizzata e coordinata.
Com’è possibile attuare un cambiamento?
Dovremmo riuscire a formare una classe dirigente o di imprenditori giovani e meno giovani che siano socialmente responsabili. Questo non è irraggiungibile, perché la Comunità Europea ci ha dato un obiettivo, che è il 2020. In questi cinque anni, dovremmo ripartire con una economia nuova che sia in grado di mettere gli imprenditori nelle condizioni di gestire sviluppo economico anche a livello locale.
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