Più lavoro meno crescita
Più ore di lavoro equivalgono a una maggiore produttività e quindi a una maggiore crescita economica?
Non sempre. Lo definiscono i dati OCSE che confrontano il totale di ore lavorate nei vari paesi e la produttività degli stessi paesi registrata nel 2014.
Nell’elenco dei paesi al mondo meno efficienti e che, tuttavia, richiedono ai cittadini un maggiore impegno in termini di ore di lavoro, spiccano il Messico, La Russia, La Grecia, la Polonia, la Lettonia, l’Ungheria, la Corea.
Il Messico, ad esempio, con una media di 2.228 ore l’anno, registra il livello di produttività più basso dell’ Ocse, cioè solo 20,2 dollari per ora. Segue, in questa “anticlassifica”, la Corea del Sud, che nonostante il respiro tecnologico che gli donano realtà importanti come Lg e Samsung, riporta una media di 2.124 ore di lavoro l’anno a fronte di una produzione oraria pari a 31,9 dollari Usa.
In Europa
In ambito europeo, la maglia nera se la giocano in molti: La Grecia, con 2.042 ore lavorate all’anno e una produttività di 35,9 dollari l’ora, la Russia, con 1.985 ore lavorate e una produttività di 26,4 dollari l’ora, la Lettonia, (1.938 ore di lavoro, 27,3 dollari l’ora), la Polonia (1.923 ore lavorate l’anno, produzione di 29,5 dollari l’ora), l’Ungheria, (1.858 ore lavorate l’anno, pil per ora di 31, 1 dollari).
Il Lussemburgo, invece, emerge come il paese con maggiore produttività del lavoro, seguito dalla Norvegia. Per l’Italia un sedicesimo posto.
Da questi dati emerge, a prima vista, anche un aspetto sociale, e cioè che più ore di lavoro corrispondono a meno diritti. In conclusione: per lo sviluppo vero di un paese non è importante la quantità ma la qualità del lavoro e, conseguentemente, la qualità della vita.
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